I giornaloni in questi giorni attaccano ferocemente Di Maio e Di Battista in seguito alle loro dichiarazioni sul Franco Centro Africano snobbando, contestando e non verificando in modo approfondito le affermazioni dei due che corrispondono al vero
(Il Borbonico ne aveva già parlato a margine di un articolo lo scorso 20 giugno) e che spiegano vieppiù il motivo per il quale è fondamentale per Macron il predominio sulla Libia e il cosolidamento dell’asse franco-tedesco in Europa.
È consuetudine del quarto potere schierato, delegittimare chi dice la verità o comunque chi non si allinea al pensiero dominante. Così accade che, in seguito alle dichiarazioni di Di Maio e all’ospitata di Di Battista da Fazio, si scateni sui giornali ed in televisione la battaglia a chi è più bravo a smentirli. E per farlo si rende necessario modificare l’oggetto del contendere: ecco che allora le dichiarazioni di ampio respiro sul fenomeno migratorio, vengono circoscritte alla sola Italia; che il Franco Centro Africano diventa una moneta che salva quei paesi fin dal 1945, data della sua creazione, e che si brucia la coda di paglia dei francesi e dei tedeschi.
Eppure nessuno ha mai chiamato in causa il popolo francese o tedesco; nessuno ha mai detto che la causa degli sbarchi in Italia sia da attribuire al colonialismo francese, così come è falso che il Franco Centro Africano sia uno strumento economico che salva le economie di quegli stati.
Tuttavia Il Sole 24 ore ed Il Corriere della Sera, (due giornali a caso) il 21 gennaio ,rispettivamente a firma di Roberto Bongiorni e Claudio Del Frate, pubblicano due articoli in difesa del franco CFA, mentre i tempestivi interventi di Moscovici e del FMI che, attraverso la sua nuova capoeconomista, Gita Gopinath, accusa l’Italia di essere la causa principale della recessione europea spostano l’attenzione dell’opinione pubblica da un fatto all’altro. Motivo? Facile: simili dichiarazioni, discreditano il governo eletto e quindi, di riflesso, anche le sue affermazioni circa l’Africa.
E proprio l’immediata discesa in campo dei pezzi da 90 in difesa della Francia, rende la reale portata delle parole di Di Maio e Di Battista!
La politica economica francese in Africa è una delle cause del fenomeno migratorio in generale.
Ma qual è la verità dietro questo polverone? Innanzitutto né il ministro Di Maio né Di Battista hanno mai affermato che la Francia, o meglio il governo francese, sia la causa degli sbarchi lungo le nostre coste o che i migranti che partono dalla Libia sui barconi siano francofoni, ma, semplicemente, affermano che la politica economica francese in Africa è una delle cause del fenomeno migratorio in generale. Ragion per cui sia Bongiorni che Del Frate commettono un clamoroso errore nel difendere il franco CFA. Vero è, invece, che i dati ufficiali del ministero dell’interno, Eurostat e Frontex, riportano come primo paese dell’aera CFA per migranti sbarcati in Italia la Costa d’Avorio con 1.064 persone (dati di dicembre 2018) la quale è all’ottavo posto assoluto tra tutti i paesi di provenienza. Ed è vero anche che nessuno tra i paesi CFA di provenienza, neanche i 1.064 di cui sopra, chiedono asilo in Italia. Ma, di grazia, perché dovrebbero farlo? Perché una persona francofona dovrebbe chiedere asilo politico in Italia, quando la sua meta è la Francia?
I due giornalisti poi, nei loro articoli, omettono di comunicare i dati relativi agli altri paesi europei sui quali si sono dirottati i flussi migratori in seguito alla chiusura dei porti italiani. Perché se è vero che nel 2018 in Italia i migranti sono stati 23.370 (di cui appunto 1.064 provenienti dalla Costa d’Avorio) è vero anche che la Spagna è ormai di gran lunga il nuovo paese europeo con il maggior numero di arrivi via mare. I dati mostrano come le rotte dell’immigrazione si siano spostate sia via mare che via terra (attraverso l’enclave di Ceuta e Melilla) sul versante spagnolo dove si è passati dai 22 mila approdi del 2017 (numero già in aumento rispetto al 2016) ai 64 mila del 2018. I paesi di provenienza sono diversi, ma in prevalenza appartengono all’area dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Gambia), del Maghreb (Marocco, Algeria), del Medio Oriente (Siria). Noterete la presenza anche dei paesi dell’area CFA, a testimonianza che quanto affermato dai due pentastellati si riferisce ai flussi migratori in generale e non agli sbarchi sulle nostre coste.
La politica coloniale francese in queste aree è tutta incentrata sul controllo economico e monetario delle economie locali il cui perno fondamentale è il franco CFA. La Francia lo impose alle sue colonie nel 1945 in seguito agli accordi di Bretton Woods e originariamente l’acronimo stava per Colonies Françaises d’Afrique trasformatosi poi in Comunità Finanziaria Africana. In un articolo del dicembre 2015 “Italia Oggi” (giornale economico finanziario) ne spiega benissimo il funzionamento: “Parigi detiene le riserve auree di 14 stati africani i quali ancora oggi hanno come valuta il franco francese. Sì, avete capito bene: nonostante non esista più, perché sostituita dall’euro, la moneta di questi 14 stati è il franco francese, come ai tempi delle colonie. I 14 stati che lo utilizzano si sono riuniti in due famiglie: l’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa) e la Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (Cemac). Della prima fanno parte: Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo. Della seconda: Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Ciad. Con l’avvento dell’euro, il Franco Cfa non è scomparso, ma il suo valore è stato fissato alla valuta europea (100 Cfa = 0,15 euro). Come detto, però, è sempre il Tesoro francese e non la Bce che continua a garantirne la convertibilità. Come sia possibile tutto ciò ancora non è dato sapere”.
La Francia gestisce a suo piacimento il 50% delle valute estere delle 14 ex colonie, investendoli massicciamente in titoli di Stato emessi dal proprio Tesoro, grazie ai quali ha potuto finanziare per decenni una spesa pubblica generosa, sovente ignara dei vincoli di Maastricht.
Già…non è dato sapere. Conosciamo però i benefici che il CFA porta all’economia francese attraverso quattro regole sottoscritte tra le parti nel 1959 e nel 1962 ed ancora in vigore: la Francia garantisce la convertibilità illimitata del CFA in euro; il tasso di conversione tra CFA e euro è fisso: 1 euro=655,957 franco CFA; i trasferimenti di capitali tra la zona franco e la Francia sono liberi e come contropartita di questi primi tre punti il 50% delle riserve di cambio dei Paesi della zona franco CFA devono essere depositate su un conto della Banca di Francia, a Parigi. Capite, ora, come il riconoscimento dell’indipendenza coloniale di 160 milioni di persone sia stato un atto puramente formale. Il governo francese attraverso una moneta coniata e stampata in Francia, della quale, autonomamente, stabilisce caratteristiche e ne detiene il monopolio, mantiene, nei confronti delle economie delle ex colonie, tutti i vincoli ferrei e giugulatori che aveva fin dall’inizio. A titolo esemplificativo se uno dei 14 paesi, esclusivamente in seguito al permesso francese, volesse esportare merci negli USA per 100 mila dollari, ne dovrà trasferire 50 mila nelle casse della Banca Centrale Francese. Inoltre il controllo dell’effettivo trasferimento di denaro è garantito dal fatto che gli accordi monetari sul franco CFA prevedono rappresentanti transalpini, con diritto di veto, sia nei consigli d’amministrazione che in quelli di sorveglianza delle istituzioni finanziarie delle 14 ex colonie. In virtù di questo trasferimento di ricchezza monetaria, la Francia gestisce a suo piacimento il 50% delle valute estere delle 14 ex colonie, investendoli massicciamente in titoli di Stato emessi dal proprio Tesoro, grazie ai quali ha potuto finanziare per decenni una spesa pubblica generosa, sovente ignara dei vincoli di Maastricht.
“Il sistema permette di garantire i profitti dei colossi europei che non pagano niente per questa garanzia: sono i cittadini africani che attraverso le riserve di cambio collocate al Tesoro francese, pagano la stabilità del tasso di cambio” (Bruno Tinel).
Questa situazione, inoltre, giova particolarmente alle multinazionali e ai commerci francesi che, solo per fare un esempio, in Costa d’Avorio vedono i transalpini, con le loro aziende, primi fornitori e nel contempo primi clienti attraverso centinaia di filiali e 600 società tutte rigorosamente a capitale francese presenti in ogni settore strategico. Controllano, inoltre, anche il settore comunicazioni attraverso France Télécom e Orange, quello bancario con Bnp Paribas e Crédit lyonnaise senza tralasciare il gruppo Bolloré detentore del 67% di Sitrail una realtà che gestisce la ferrovia tra Abidjan e Ouagadougou e che ha il monopolio sul trasporto del petrolio e del tabacco. Se a questo aggiungiamo le importazioni di materie prime quali cacao, caffé, banane, legna, oro, petrolio, uranio, tutte pagate con il CFA a parità con l’euro e senza rischi di deprezzamento monetario, capiamo come “Il sistema permette di garantire i profitti dei colossi europei che non pagano niente per questa garanzia: sono i cittadini africani che attraverso le riserve di cambio collocate al Tesoro francese, pagano la stabilità del tasso di cambio” (Bruno Tinel).
Le riserve del franco CFA nella Banca di Francia sono stimate approssimativamente in 10 miliardi di euro, quanto lo sforamento del deficit/pil promesso da Macron ai Gilet Gialli, mentre questi soldi, di proprietà degli africani, potrebbero essere utilizzati per finanziare piani di sviluppo nei paesi in questione evitando altresì il continuo ricorso al credito al quale essi sono costretti e la cui pratica non fa altro che aumentare il debito nei confronti delle istituzioni finanziarie europee e dei singoli membri. Tuttavia a sentire i vari governi francesi fin qui succedutisi, sarebbero i Paesi africani a voler rimanere legati al sistema, perché il franco, ormai, sarebbe la moneta degli africani e non più della Francia; dovrebbero essere, insomma, gli stessi africani a compiere le proprie scelte.
Peccato però che una delle tante volte in cui ci abbiano provato, nel 1958 in Guinea, “l’amministrazione francese distrusse qualsiasi cosa che rappresentasse quelli che erano definiti i vantaggi della colonizzazione francese. Tremila francesi lasciarono il paese, prendendo tutte le proprietà e distruggendo qualsiasi cosa che non si muovesse: scuole, ambulatori, immobili dell’amministrazione pubblica furono distrutti; macchine, libri, strumenti degli istituti di ricerca, trattori furono sabotati; i cavalli e le mucche nelle fattorie furono uccisi, e le derrate alimentari nei magazzini furono bruciate o avvelenate. L’obiettivo di questo gesto indegno era quello di mandare un messaggio chiaro a tutte le altre colonie che il costo di rigettare la Francia sarebbe stato molto alto” (Africanews). Se volete un esempio più recente posso riportarvi il caso dell’economista togolese Kako Nubukpo, il quale ha perso il posto di direttore della Francophonie économique et numérique che lavora nell’ambito dell’OIF (Organizzazione Internazionale della Francofonia) per aver osato criticare aspramente il sistema e soprattutto le parole del presidente Macron nel corso delle sue recenti visite nel continente. Di simili notizie, la rete è piena!
Sono in pochi a sapere che la guerra portata dall’America e dall’Europa, Francia in testa, nel 2011 al colonnello Gheddafi, aveva il recondito scopo di impedire la creazione di una Banca e una moneta unica africana. La Libia era finanziariamente in grado di sostenere un simile progetto ed era supportata da diverse nazioni del continente come la Costa d’Avorio il cui presidente Laurent Gbabo, catturato dalle forze speciali francesi nell’aprile del 2011, è tuttora detenuto a L’Aia con l’accusa di “crimini contro l’umanità”.
Tuttavia la questione ancor più allarmante è che la maggior parte di capi di Stato africani non ha alcuna intenzione di abbandonare il CFA, a testimonianza, anche e soprattutto, delle pesanti interferenze francesi nella vita politica delle 14 ex colonie. Negli ultimi 50 anni, infatti, un totale di 67 colpi di stato si sono susseguiti in 26 paesi africani; 16 di quest’ultimi sono ex colonie francesi, il che significa che il 61% dei colpi di stato si sono verificati nell’Africa francofona. È il prezzo da pagare per chi solo pensa di abbandonare il CFA. Alla luce di quanto vi ho esposto spero facciano sorridere anche voi, cari lettori, le parole di Moscovici secondo il quale “alcune dichiarazioni [quelle di Di Maio e Di Battista – ndr] vengono fatte per uso nazionale, somigliano a provocazioni, perché il contenuto è vuoto o irresponsabile, per cui è preferibile evitare di cedere alla provocazione. Le provocazioni di solito squalificano chi le fa”. Come quando lei ha definito l’Italia un problema per la zona euro, vero caro Pierre? E fanno sorridere anche le fonti diplomatiche francesi che affermano come “Queste dichiarazioni da parte di un’alta autorità italiana sono ostili e senza motivo visto il partenariato tra Francia e Italia in seno all’Unione Europea. Vanno lette in un cotesto di politica interna italiana”. Infatti la Francia, solo per fare un esempio, è stata partner dell’Italia nella vicenda Fincantieri-STX a tal punto che di concerto con la Merkel, altro partner, hanno portato l’accordo, peraltro concluso da un pezzo, davanti all’antitrust europea. Una vera ritorsione! O ancora la Francia è stata ed è partner dell’Italia nella vicenda libica a tal punto da volerla estromettere del tutto! Vi invito a guardare questa figura per capire perché la Libia, alla luce di quanto vi ho finora descritto, è molto importante per i francesi dell’Eliseo. Se osservate attentamente la conformazione geo-politica delle 14 colonie francesi, noterete come esse formano un cuneo verso nord che ha il suo naturale culmine proprio nella Libia la cui attuale instabilità politica, peraltro responsabilità della stessa Francia, impedisce qualsiasi accordo di natura commerciale o logistico. Se la Francia dovesse riuscire ad insediarsi stabilmente in Libia, e magari a farla rientrare nell’ambito del CFA, tutto l’import/export con le 14 colonie avrebbe un corridoio preferenziale fino ai porti libici. Per non parlare delle materie prime come il petrolio, il gas, l’uranio, l’oro che allo stato attuale è molto rischioso far transitare da quelle parti. Aggiungeteci pure il traffico di esseri umani, che diventerebbe incontrollato e il gioco è fatto. Inoltre, sono in pochi a sapere che la guerra portata dall’America e dall’Europa, Francia in testa, nel 2011 al colonnello Gheddafi, aveva il recondito scopo di impedire la creazione di una Banca e una moneta unica africana. La Libia era finanziariamente in grado di sostenere un simile progetto ed era supportata da diverse nazioni del continente come la Costa d’Avorio il cui presidente Laurent Gbabo, catturato dalle forze speciali francesi nell’aprile del 2011, è tuttora detenuto a L’Aia con l’accusa di “crimini contro l’umanità”. Da ridere no?
E da sorrisi è anche l’articolo di Aldo Cazzullo sul Corsera di ieri dal titolo “L’idea dannosa di sfidare tutti”. Secondo Cazzullo, infatti, “L’impressione è che il governo italiano non intenda porre le questioni in modo costruttivo nelle apposite sedi bilaterali e sovranazionali, ma preferisca liquidarle in modo sprezzante e aggressivo ai fini del consenso interno”, e ancora “Le prove di forza si fanno quando si è forti. E l’Italia oggi non lo è. […] Ma nella strategia dei populisti avere un nemico è fondamentale. Che sia interno — l’Inps, l’Istat, la Banca d’Italia — o meglio ancora esterno: l’Europa, il Fondo monetario, la Francia. Siamo in grado di combattere tutte queste guerre? Davvero sono nell’interesse nazionale? O non rientrano piuttosto nella propaganda, efficace nell’immediato ma in realtà velleitaria?”
Ricorderei molto volentieri a Cazzullo che tutte queste guerre non le abbiamo iniziate noi. Fin dal voto del 4 marzo, l’Italia e gli italiani hanno subito insulti ed interferenze: c’era chi voleva insegnarci a votare, chi ha detto che il governo italiano è come la lebbra, chi ha definito l’Italia vomitevole, e potrei continuare. Chi, Cazzullo, ha interferito negli affari interni di chi? Noi abbiamo eletto un governo, siamo stati al nostro posto, ma ci hanno attaccato gratuitamente e premeditatamente, perché questo governo non s’aveva da fare. Erano in gioco gli interessi di lor signori mangia-lumache e mangia-crauti, delle lobbies e delle grandi multinazionali, e i giallo-verdi, invece, seppur con tutti i limiti e le inesperienze del caso, si occupano dei bisogni della gente! Populismo? Nazionalismo? Si guardi intorno, Cazzullo, e osservi dove il neoliberismo globale e l’economia del libero mercato ha condotto l’Italia: ad elemosinare le briciole ai piedi di Macron e della Merkel, che intanto sprezzanti dell’Europa di cui tanto ciarlano, si incontrano ad Aquisgrana per sottoscrivere l’ennesimo patto di cooperazione franco-tedesca. Contro i populismi, dicono loro, ma di fatto è un trattato che sancisce nuove cooperazioni economiche, fra l’altro, in campo militare con l’accordo di dare vita ad una comune industria degli armamenti. Una cultura europeista seria avrebbe voluto al tavolo di un simile vertice tutti i membri dell’Unione. Una cultura europeista seria non si occuperebbe dell’industria degli armamenti, ma di immigrazione, giustizia sociale e benessere dei cittadini! L’Europa franco-tedesca, caro Cazzullo percorre, ahinoi, altre strade.
Lor signori d’oltralpe pretendono rispetto quando noi compriamo da loro (vedi la vicenda Fincantieri-STX), ma non ne concedono quando sono loro a fare shopping da noi (vedi Tim e Mediaset). Perché portare, se non per ritorsione, l’accordo Fincantieri-STX davanti all’antitrust europea, mentre la fusione tra la divisione ferroviaria della tedesca Siemens e la francese Alstom il prossimo 18 febbraio potrebbe ottenere la benedizione di Bruxelles in barba proprio all’antitrust? Due pesi e due misure!
È vero, poi, che abbiamo “tante partite economiche aperte”: Tim e Mediaset, Mediobanca, Generali e Fincantieri; ed è vero, come lei sostiene, che su queste partite dobbiamo farci rispettare! Perché lor signori d’oltralpe pretendono rispetto quando noi compriamo da loro (vedi la vicenda Fincantieri-STX), ma non ne concedono quando sono loro a fare shopping da noi (vedi Tim e Mediaset). Perché portare, se non per ritorsione, l’accordo Fincantieri-STX davanti all’antitrust europea, mentre la fusione tra la divisione ferroviaria della tedesca Siemens e la francese Alstom il prossimo 18 febbraio potrebbe ottenere la benedizione di Bruxelles in barba proprio all’antitrust? Due pesi e due misure, caro Cazzullo, perché l’Europa deve essere una prerogativa economica franco-tedesca con gli altri paesi che consumano i loro prodotti: è politica coloniale anche questa! E l’hanno capito bene tanto a Est quanto a Ovest, da Putin a Trump passando per la Polonia, l’Ungheria e tutto l’est Europa. Solo in Italia non si riesce a comprendere, vuoi per l’incompetenza di chi affronta tali questioni sui giornali, vuoi per i benefits, mi si passi il termine, europeisti fino a ieri infilati nelle tasche degli esponenti dei partiti tradizionali che ci hanno governato.
Tuttavia un modo costruttivo, come Cazzullo chiede, di porre le questioni a francesi e tedeschi ci sarebbe: contrapporre all’asse franco-tedesco, che uccide la UE, un asse mediterraneo-orientale, (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e paesi dell’Est) di cui l’Italia dovrebbe farsi promotrice e che preveda come partner economici esterni l’Africa settentrionale, il Regno Unito e gli Usa.
Concludo con un piccolo suggerimento per chi ci governa: “Preferiamo la libertà in povertà, all’opulenza nella schiavitù” era lo slogan di Sékou Touré, protagonista del tentativo di affrancamento dalla Francia da parte della Guinea nel 1958; che diventi anche il nostro!
d.A.P.