Il Partito Unico del Nord chiede, attraverso i 5 stelle, un bonus assistenzialismo.

Non basta aver speculato sui servizi scolatici mai erogati, o non aver ancora definito, dopo quasi 20 anni, i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP), o ancora aver introdotto nella formula per calcolare i fabbisogni standard comunali dei servizi sociali, la variabile territoriale e razzista per la quale se nasci a Sud ne hai meno diritto (in arte variabile dummy). No! Ora quelli del Partito Unico del Nord (PUN) hanno deciso di mettere le mani anche sullo strumento da loro stessi ritenuto, fino a ieri, il più assistenzialista: il Reddito di Cittadinanza (RdC).

E quindi accade che cinque esponenti dei 5 stelle (uno per ogni stella) firmino un’interrogazione parlamentare per richiederne il miglioramento delle regole di accesso che attualmente “discriminerebbero” i due terzi dei poveri del nord non considerando la differenza del costo della vita tra nord e Sud e tra aree metropolitane e piccoli centri.   

Eppure i conti non tornano. Dai dati Istat del 2018 emerge come a Sud il reddito pro capite sia il 60% di quello del nord dove si può contare su un reddito medio di 24 mila euro, contro i 21 mila del Centro e i 14 mila del Sud. La conseguenza è che anche i consumi riflettono il divario: nel 2018 in Italia la spesa per consumi finali delle famiglie per abitante, è stata di 17mila e 800 euro e i valori più elevati di spesa pro capite si sono registrati nel Nord Ovest (20mila e 600 euro) e nel Nord Est (20mila e 400 euro), con il Mezzogiorno che si è confermato l’area in cui il livello di spesa è più basso (13mila e 700 euro).

Tuttavia se consideriamo che il paniere Istat contiene i prodotti più acquistati, i dati sopra riportati non sono certo indicativi della differenza del costo della vita tra nord e sud, poiché risulta evidente che coloro i quali possono contare su un reddito più alto, acquisteranno certamente un prodotto migliore dal costo più elevato. Più semplicemente, invece, trattasi di differenza sul potere di acquisto che vede i salari meridionali sempre più in crisi. In parole povere, se hai un reddito basso, spendi di meno e scegli prodotti dal costo minore. Questo è indice di povertà!

Non per i nostri cinque senatori pentastellati però, per i quali la soglia di povertà che per un single “varia da 839,75 euro mensili nelle grandi città del Nord a 566,49 euro nei piccoli comuni del Sud” è una forbice troppo stretta, al pari di quella per una famiglia con due figli minori che al Nord ha una soglia di 1.726 euro mentre a Sud di 1.263. Ma qualcuno ha spiegato a questi signori che la soglia di povertà rappresenta il valore monetario del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza? In breve, qualcuno gli ha spiegato che si è poveri se si sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario? E considerando che ai poli opposti per reddito medio troviamo la provincia di Milano con 29.627 euro e quella di Vibo Valentia con 12.118 euro, è ragionevole alzare la soglia a Nord e ridurla a Sud?

Infine, il paradosso i cinque 5 stelle lo raggiungono dichiarando che il risultato di questa discriminazione alla rovescia, sarebbe “che al Nord 1,2 milioni di cittadini, che si trovano sotto la soglia di povertà, hanno entrate troppo alte per accedere al Reddito di cittadinanza”. E infatti la discriminazione sta proprio qui, perché oltre al fatto di godere di maggiori entrate, questi stessi cittadini “poveri” pagano molto meno, o niente, per servizi e fabbisogni essenziali che a Sud sono negati grazie alle variabili dummies, alla spesa storica e in generale a 60 miliardi annui di spesa pubblica distratta altrove!

Sarebbe meglio che dicessero a chiare lettere di voler aggiungere un ulteriore bonus al ventennale assistenzialismo di stato che il Partito Unico del Nord ha loro concesso attraverso la riforma del Titolo V.

d.A.P.

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