Il mezzo sigaro tenta la sua riabilitazione agli occhi del paese, ma si tradisce e viene allo scoperto.

Dopo la rottamazione arriva il momento della riabilitazione. L’operazione mezzo sigaro continua con buona pace di giornali e giornalai che gli danno spazio. Questo, infatti, è il momento di battere il ferro perché ancora caldo e far dimenticare in fretta Conte. È il momento di prendersi la scena, quello che ha sempre desiderato, e magari, con un’intervista qua e una conferenza là, arrotondare il conto in banca e far salire quel misero due percento virtuale così come i consensi personali. Tuttavia nell’intervista rilasciata a “La Repubblica” il 3 febbraio, oltre alle domande in “Vespa Style”, con l’unico intento di rifare il maquillage a chi ha rotto il giocattolo, trapelano i tratti distintivi delle vere ragioni della crisi di governo.

Il dialogo proposto, in piena sintonia con la linea editoriale portata avanti dal giornale in questi giorni (per la verità non l’unico), è una vera apologia del renzismo. Viene raffigurato il Renzi addolorato per una scelta obbligata, che non festeggia però è felice di aver svolto bene il compitino affidatogli durante la visita a Rebibbia; il Renzi impopolare, certo, ma Conte, nonostante l’opinione pubblica dimostri il contrario, non è certo più popolare di lui; il Renzi che ha patito l’aggressione mediatica di queste settimane e che ora vuole riposare dopo aver portato a termine il lavoro…sporco.

Si tessono le lodi di colui che ha negato i pieni poteri a Salvini salvo poi arrogarsi il pieno potere di decidere circa il futuro degli italiani. Un futuro per il quale lui aveva già pronta la ricetta passatagli dagli amici, ma sulla quale gli altri non hanno voluto o potuto, in un ultimo bagliore di coscienza e rispetto, seguirlo come pecoroni. Lui, Renzi, non voleva poltrone; voleva LA POLTRONA, magari come premier ombra, in modo poi da poter rivendicare il successo del suo progetto o poterne scaricare il fallimento su altri. Il “povero” Renzi al tavolo delle trattative aveva eliminato tutti gli elementi divisivi, salvo poi chiedere, allo stesso tavolo, la testa di Arcuri, Bonafede ed Azzolina. Perché, per gli altri, la politica non si fa con gli aut aut…questa è una prerogativa esclusivamente sua. E se ne fa una ragione a priori se il suo due per cento non dovesse crescere, perché a lui interessa solo che crescano i posti di lavoro.

Un vero statista, insomma, il cui spirito emerge definitivamente quando l’intervistatore gli chiede ragione della comparsata a pagamento in Arabia, culla della democrazia. E lui ribatte sostenendo che ha tenuto decine di conferenze sempre rispettando le regole sul conflitto di interessi, mentre sul barbaro omicidio di Khashoggi, da vero statista, auspica che il processo, che ha luogo in uno stato governato da un regime, possa fare davvero giustizia.

Ed ecco che a “La Repubblica” riesce, alla fine dei giochi, di prendere due piccioni con una fava: il Renzi statista che vede e persegue il bene del paese, divulgatore di cultura, nonché rispettoso delle leggi e ligio contribuente in Italia, e l’Arabia di Bin Salman che si avvia a diventare la prima democrazia del panorama mediorientale per garantirne la stabilità politica, magari con le armi che le vendiamo.

In questa trama perfettamente orchestrata c’è un solo filo fuori posto, che a tirarlo smaglierebbe tutta l’opera: a chi gli domanda il perché della crisi, infatti, lui risponde così: “se dobbiamo spendere 200 miliardi di euro preferisco li spenda Draghi che Conte”. Volevate le motivazioni della crisi? Eccovele servite!

d.A.P.

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