I gilet gialli francesi sono il simbolo dell’unità popolare che rivendica diritti e attenzione da parte di chi li governa. Quando un popolo unito si sente o viene tradito da chi lo dovrebbe rappresentare, scende in piazza e rivendica il tradimento. Ecco perché in Italia non potrà mai accadere.

Non ho mai avuto simpatia per la Francia, né per i francesi e la loro “francesità” che ha uno spiccato riverbero nella piemontesità.

Eppure c’è da riconoscere una cosa a questo popolo: non se la fanno menare per il naso! Gli italiani no; badano alla tasca, al benessere personale, ad arrangiarsi, perché finché sto bene io, degli altri poco m’importa. E proprio questa è la primaria differenza tra noi e loro, che suggerisce altresì il grado di unità percepito dai due popoli: i francesi uniti, noi separati, o meglio, mai uniti a causa di una congenita dicotomia che, nel tempo, si è tradotta in una forza centrifuga, su intenti e politiche nazionali, tale da creare due paesi in uno. Questo in Francia non c’è, non c’è mai stato e, a ragion veduta, mai ci sarà. C’è però tanto malessere sociale, come del resto qui da noi, che, a differenza nostra, sa esprimersi in proteste e rivolte contro l’establishment e i personaggi politici che dovrebbero tutelare il popolo, perorandone gli interessi.

Sì, sto parlando dei gilet gialli sui quali già girano voci di divisioni, infiltrazioni, di pericolo terrorismo, il ché dovrebbe farvi capire come l’espressione del malessere di un popolo che arranca, venga puntualmente strumentalizzata dai media espressione, invece, del potere economico finanziario che soffoca tutta l’Europa e ha il suo portabandiera nella Germania. Ma quali sono le assurde richieste di questi balordi? Vediamole: zero poveri in strada: misura urgente; vantaggio progressivo sulle imposte; reddito minimo a 1300 euro netti; favorire i piccoli commerci delle città più piccole e del centro città per le metropoli, contro i grandi centri commerciali; un piano per migliorare l’economia domestica dell’energia e per salvaguardare l’ambiente; tasse più alte per le grandi multinazionali rispetto ai piccoli commercianti; sistema di sicurezza sociale uguale per tutti, compresi gli artigiani e i lavoratori autonomi; un sistema di pensioni sociale e sostenibile, niente pensione a punti; stop all’aumento delle tasse sul carburante; diritto, per i rappresentanti eletti, al salario medio e a rimborsi spese monitorati e giustificati; salari, pensioni ed indennità calcolati per tutti i francesi tenendo conto dell’inflazione; proteggere l’industria francese proibendo il trasferimento all’estero; abolizione del lavoro distaccato: una persona che lavora in territorio francese deve godere dello stesso stipendio e degli stessi diritti; limitare ulteriormente il numero di contratti a tempo determinato per le grandi aziende, privilegiando i tempi indeterminati; finanziamenti per l’industria automobilistica francese finalizzati allo sviluppo dell’auto ad idrogeno molto più rispettosa dell’ambiente, a differenza della macchina elettrica; ripagare interessi su debito e debito stesso senza prendere i soldi dai poveri ma perseguendo gli 80 miliardi di evasione fiscale; affrontare le cause della migrazione forzata; alloggio, sicurezza, cibo e istruzione per i richiedenti asilo e collaborare con l’ONU affinché i campi di accoglienza siano aperti in molti paesi del mondo, in attesa dell’esito della domanda di asilo; vietare il respingimento dei richiedenti asilo nel loro paese d’origine anche attraverso l’implementazione di una vera politica di integrazione perché vivere in Francia significa diventare francese e quindi vanno istituiti corsi di francese, di storia francese e di educazione civica con certificazione a fine del corso; aumento delle quote disabili nei posti di lavoro; limitazione del costo degli affitti e più alloggi a basso costo (soprattutto per studenti e lavoratori precari); divieto di vendere la proprietà statali (dighe, aeroporti); mezzi migliori concessi al sistema giudiziario, alla polizia, alla gendarmeria e all’esercito e pagamento o recupero degli straordinari delle forze dell’ordine; reinvestire i profitti dei pedaggi autostradali nella manutenzione di autostrade e strade in Francia e per la sicurezza stradale; nuova statalizzazione del gas e dell’elettricità al fine di far scendere in modo significativo i prezzi di gas e luce; benessere per gli anziani; limitare a 25 gli alunni per classe dalla scuola materna; inserire il referendum popolare nella Costituzione; ritorno a un termine di 7 anni per il Presidente della Repubblica; pensionamento a 60 anni e, per tutti coloro che hanno avuto un lavoro manuale, diritto alla pensione a 55 anni; promuovere il trasporto di merci su rotaie; eliminare le indennità presidenziali a vita.

Le rivendicazioni dei gilet gialli rendono testimonianza, dal punto di vista socio-economico, di dove la politica economica europea ci abbia condotto in un tale breve periodo. Mentre in Italia, in tutti i talk show di questi giorni, non si faceva altro che lodare la nostra rivoluzione del 4 marzo, simbolo di civiltà, perdendo di vista il fatto che un popolo esasperato non è incivile, ma incivile è colui che lo ha condotto a quel punto.

Vi sembrano richieste assurde? Irrealizzabili? Se sì allora in Europa dobbiamo perdere ogni speranza per la realizzazione di una giustizia sociale degna di questo nome, dato che queste sono rivendicazioni che solo 20 anni fa non avrebbero avuto ragion d’essere. Esse rendono testimonianza, dal punto di vista socio-economico, di dove la politica economica europea ci abbia condotto in un tale breve periodo. E in Italia? In Italia, da questo punti di vista, purtroppo, non siamo francesi. In tutti i talk show che ho visto in questi giorni non si faceva altro che lodare la nostra rivoluzione del 4 marzo, simbolo di civiltà, perdendo di vista il fatto che un popolo esasperato non è incivile, ma incivile è colui che lo ha condotto a quel punto. Dove ci ha portato e dove ci porterà la nostra glorious revolution del 4 marzo? A far cambiare tutto affinché nulla cambi…quanto aveva ragione Tancredi! Affinché nulla cambi per il Sud, insomma, bisogna dargli la sua rivoluzione riaccendere la speranza e poi soffocarla lentamente da nord riportando tutto alla “normalità”.

Il campanilismo leghista mortifica e annichilisce, come spesso è accaduto in questi mesi di governo, e accade continuamente da 158 anni, l’interesse nazionale che invece i 5 stelle, strenui difensori della Costituzione e dei diritti civili, dovrebbero tutelare.

E l’ultimo episodio, in ordine cronologico, che ci indica quale sia la normalità italiana è quello, scusate il gioco di parole, della Normale di Pisa. Il campanilismo leghista che mortifica e annichilisce, come spesso è accaduto in questi mesi di governo, e accade continuamente da 158 anni, l’interesse nazionale che invece i 5 stelle, strenui difensori della Costituzione e dei diritti civili, dovrebbero tutelare.

E così mentre il sindaco leghista di Pisa esulta per aver mantenuto integra la pisanità della scuola, credo insieme a buona parte dei suoi elettori, a Roma il ministro Bussetti, leghista anche lui, perde il treno della grande possibilità di unire davvero, almeno dal punto di vista universitario (sarebbe stato un primo importante passo), le eccellenze di questo paese.

Storicamente questo atteggiamento affonda le sue radici nella frammentazione che regnava sovrana al centro-nord nel periodo pre-unitario e che contrapponeva gli interessi dei grandi stati nazionali sul suolo italico attraverso piccoli regni, ducati e possedimenti. Differente era, invece, la situazione al Sud dove un grande stato nazionale esisteva ed era anche una realtà economica e sociale autonoma e potente. Distrutta e saccheggiata dall’unificazione in avanti, la nazione del Sud non è mai più risorta, principalmente non per propri demeriti quanto per gli ostacoli ed i paletti frutto di altrui interessi.

E così mentre il sindaco leghista di Pisa esulta per aver mantenuto integra la pisanità della scuola, credo insieme a buona parte dei suoi elettori, a Roma il ministro Bussetti, leghista anche lui, perde il treno della grande possibilità di unire davvero, almeno dal punto di vista universitario (sarebbe stato un primo importante passo), le eccellenze di questo paese; si lascia sfuggire la possibilità di mettere in pratica le blaterazioni di circostanza, proferite a Napoli dal presidente del senato Casellati, circa il far rimanere le menti del Sud al Sud scongiurandone l’emigrazione. Di fatto, e come sempre, si è data maggiore importanza al campanile rispetto alle reali necessità di un paese che chi governa da Roma si ostina a considerare una nazione, quando nazione non è!

Oppure, per dirla con Massimo Adinolfi su Il Mattino del 14 dicembre, sarebbe “più sensato dire che una politica senza un disegno strategico e un’idea di Paese, hanno prevalso rispetto a istanze di interesse generale di più ampio respiro e di più larghe vedute. Così sappiamo una volta per tutte quanta miopia si nasconda nella paroletta “territorio”, quanto corto sia il suo raggio, e quanto slabbrato e sdrucito sia un Paese che si riduca alla somma particolaristica ed egoistica dei suoi territori. Peggio: che quella somma proprio non la riesce a fare”.

Fonte di altrettanta preoccupazione, non meno grave, è quella che Vincenzo Romano, direttore della scuola pisana, definisce “un attentato all’autonomia decisionale della Scuola Normale di Pisa da parte del mondo politico locale che non avrebbe avuto alcun potere di interferenza”. E prosegue “La legge è stata cambiata su sollecitazione del sindaco di Pisa, non per volontà della Scuola Normale o della Federico II di Napoli. Credo sia davvero un precedente devastante per il mondo universitario” (fonte “Il Mattino”del 15/12/2018).

Possibile che a Napoli nessuno abbia sostenuto il progetto federiciano? Possibile che dal M5S nessuno in Parlamento abbia opposto quattro parole alle obiezioni razziste del sindaco di Pisa? E come si sono sentiti gli esponenti leghisti meridionali in parlamento e coloro che al Sud li hanno votati, di fronte all’ennesima discriminazione proveniente dai loro colleghi nordisti?

Tuttavia, se è comprensibile la deficienza di strategia leghista nel perseguire politiche di sviluppo per il Sud, conseguenza della miopia e dell’infame localismo caratteristico di quelle parti, non si capisce come dall’altra sponda interessata, eccetto il presidente De Luca, nessuno abbia alzato la voce insegno di protesta nei confronti di una simile stupidaggine.

Possibile che a Napoli nessuno abbia sostenuto il progetto federiciano? Possibile che dal M5S nessuno in Parlamento abbia opposto quattro parole alle obiezioni razziste del sindaco di Pisa? E come si sono sentiti gli esponenti leghisti meridionali in parlamento e coloro che al Sud li hanno votati, di fronte all’ennesima discriminazione proveniente dai loro colleghi nordisti?

Esistono invece molteplici interessi in molteplici territori che possono sicuramente dividere, ma certamente non sanno unire. È la storia della decadenza italiana che in ultima istanza ha portato un governo, in teoria rivoluzionario, ad abbassare ulteriormente la testa di fronte ai ricatti delle tecnocrazie europee abbandonando l’idea del deficit al 2.4% per un insulso 2,04%.

Questi, tra gli altri, i motivi che mi fanno sostenere come le parole di Tancredi nel romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, siano emblematiche di un’Italia che non vuole cambiare perché un’Italia da cambiare non esiste. Esistono invece molteplici interessi in molteplici territori che possono sicuramente dividere, ma certamente non sanno unire. È la storia della decadenza italiana che in ultima istanza ha portato un governo, in teoria rivoluzionario, ad abbassare ulteriormente la testa di fronte ai ricatti delle tecnocrazie europee abbandonando l’idea del deficit al 2.4% per un insulso 2,04%. È la storia di un nord oppressore e di un Sud oppresso e tradito (nuovamente anche da questo governo penta-leghista) che non reagisce, non si ribella non scende in piazza per rivendicare i suoi diritti, ma trova nell’adeguamento alle condizioni di vita o all’abbandono delle stesse verso altri lidi, l’unica soluzione per un dignitoso vivere.

Insomma la vicenda della Normale è sintomatica di quanto anormale sia questo paese. Anormale nel non rispetto dell’autonomia scolastica e universitaria; anormale nella sua incapacità di fare sistema, di creare sinergie e di mantenere unite tutte le sue parti; anormale nel non sapersi unire a vantaggio del bene comune.

Di buono resta che il progetto di una Scuola Superiore di eccellenza a Napoli andrà avanti perché i finanziamenti sono stati comunque stanziati. Si chiamerà Federico II? Non lo so, ma certamente si tratta di un risultato ancor più prestigioso se si considera che sarà completamente autonoma nei confronti della omologa pisana e quindi capace (si spera adeguatamente finanziata dal ministero, alla pari della Normale) di farle concorrenza e di guadagnare in autonomia e maggiore autorevolezza.

Insomma la vicenda della Normale è sintomatica di quanto anormale sia questo paese. Anormale nel non rispetto dell’autonomia scolastica e universitaria; anormale nella sua incapacità di fare sistema, di creare sinergie e di mantenere unite tutte le sue parti; anormale nel non sapersi unire a vantaggio del bene comune.

Ecco perché, da questo punto di vista, l’Italia non è la Francia né gli italiani i francesi, se per prima nelle coscienze di chi ci governa e poi di chi dovrebbe ribellarsi (il popolo), manca la sensibilità e l’intelligenza di considerarsi uno; manca l’audacia ed il coraggio di percepirsi destinati a qualcosa di più grande; manca, infine, la consapevolezza che lo sviluppo del Sud è lo sviluppo dell’Italia.

I gilet gialli italiani non ci sono e mai ci saranno.

d.A.P.

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