La mummia Fontana (indagato per abuso d’ufficio) e l’accattone Zaia, non firmeranno una farsa. Ma la vera farsa è nelle pieghe di una richiesta che non ha ragion d’essere perché discriminatoria e disgregante. Ecco perché si chiama “differenziata” la loro autonomia. Salvini intanto gioca sporco tra Nord e Sud, rischiando di perderli entrambi.

E chissenefrega! Vien da rispondere ai due signori governatori lombardo-veneti che vanno propinando l’autonomia ad regionem, quella sì una grande farsa, garantendo le prerogative di alcuni a danno dei diritti degli altri.

I nostri attori-registi dell’opera farsesca, infatti, dimenticano che la carta costituzionale, che sostengono di conoscere a menadito, prevede che nel processo di autonomia sia sempre e comunque salvaguardato un sistema uniforme di tutela dei diritti fondamentali (LEP) su tutto il territorio nazionale; lo prevede l’art. 117, mentre il 119 istituisce il famoso fondo perequativo al quale i due gentiluomini non vogliono contribuire.

Fa riflettere, tuttavia, che la mummia e l’accattone, abbiano perso le staffe solo di fronte al nièt di Conte sull’autonomia scolastica. Perché? Non gli basta trattenere le altre competenze e lasciare allo stato, in una sorta di compromesso in stile prima repubblica, l’istruzione? E qui casca l’asino! I nostri due cialtroni nordisti sanno bene che i veri soldi sono nella scuola!

In un articolo comparso su lavoce.info del 23 luglio, Rizzo e Secomandi spiegano, dati alla mano, perché il Veneto e la Lombardia vogliono l’istruzione tutta per loro: “Secondo i dati predisposti dalla Ragioneria generale nel 2017 il totale della spesa da decentrare alle regioni che hanno chiesto l’autonomia è di 16,2 miliardi di euro, di cui 11,4 miliardi circa sono spesa per istruzione. Questa sarebbe la distribuzione di risorse se seguissimo il criterio della spesa storica. Quindi se viene rimossa la spesa per istruzione, la torta si ridimensionerebbe molto: 4,8 miliardi di euro”.

Se non venissero adottati i fabbisogni standard, le risorse finanziarie che lo stato dovrebbe trasferire alle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, sarebbero superiori alle attuali (che già sono maggiori rispetto alle altre regioni).

Dal lavoro dei due autori, poi, si evince un altro fattore non di poco conto: Lombardia e Veneto vogliono che il gettito tributario sia trattenuto integralmente in regione per finanziare le funzioni decentrate, quindi non contribuendo al fondo di perequazione, e “nel caso in cui non venissero adottati i fabbisogni standard, vi è una clausola di salvaguardia secondo la quale, dopo tre anni dall’approvazione dei decreti, l’assegnazione non può essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale”.

Capito il trucco? Se non venissero adottati i fabbisogni standard, le risorse finanziarie che lo stato dovrebbe trasferire alle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, sarebbero superiori alle attuali (che già sono maggiori rispetto alle altre regioni). A conti fatti, dicono Rizzo e Secomandi, dai 16,2 miliardi ella spesa storica si passerebbe a 18,9 miliardi con un incremento del 17%; e anche nel caso che non si regionalizzi l’istruzione la spesa aumenterebbe da 4,8 a 6,1 miliardi, cioè del 21%.

Chi finanzia questa differenza? Tutte le altre regioni perché “i decreti legge collegati al regionalismo differenziato non potranno produrre nuovi oneri per il bilancio dello stato, sia nel primo caso (decentramento inclusa istruzione) che nel secondo (esclusa istruzione), l’unico modo per avere le risorse aggiuntive sarà trasferirle dalle altre regioni che, per ora, non hanno avanzato richieste di regionalismo differenziato”.

Però! Dritti ‘sti Lombardo-Veneti-Emilani-Romagnoli! Eh?

Ragion per cui, l’autonomia, se dovrà essere, non potrà assolutamente essere differenziata, ma solidale. Il ché implica la propedeutica definizione dei fabbisogni standard, prima che un processo simile entri a regime, altrimenti la spesa pro-capite nelle altre regioni diminuirebbe rispetto alla media nazionale. E questo, meglio che la mummia e l’accattone lo sappiano una volta per tutte, la Costituzione Italiana non lo permette.

E Salvini? Il vice premier leghista minaccia la tenuta del governo sull’autonomia.

A Salvini non conviene fare troppo il duro, almeno non in questo frangente storico, con lo scandalo Russia Gate alle calcagna e un Savoini di troppo ripreso ed immortalato in tutte le foto e i video dove c’è anche lui. È in una posizione invidiabile e predominante e non vuole perderla. Ma si trova a giocare su due tavoli .

Tuttavia sa bene che l’esecutivo non potrà mai cadere per mano sua, su una questione spinosa come quella dell’autonomia. A Salvini non conviene fare troppo il duro, almeno non in questo frangente storico, con lo scandalo Russia Gate alle calcagna e un Savoini di troppo ripreso ed immortalato in tutte le foto e i video dove c’è anche lui. Anche perché, e sa bene anche questo, difficilmente troverebbe un altro “alleato” di governo da tenere sotto schiaffo, come attualmente sono i 5 stelle, nella Meloni o in Berlusconi. Il suo raggio d’azione sarebbe alquanto limitato. Ad esempio, un altro ministro al MISE difficilmente gli permetterebbe di convocare una riunione con tutte le sigle sindacali senza un duro richiamo all’ordine. Ecco: Salvini tutto questo non lo vuole. È in una posizione invidiabile e predominante e non vuole perderla. Ma si trova a giocare su due tavoli contemporaneamente: quello del Nord e quello del Sud. Lui vuole una Lega nazionale per poi fare del Sud ciò che gli pare, ma il suo progetto dovrà prima o poi fare i conti con l’autonomia che il Nord vuole e il Sud rifiuta e il compromesso che ne verrà dovrà essere un’opera d’arte per non scontentare una delle due parti fregando così nelle intenzioni l’onnipotente Matteo. Aprire una crisi adesso significherebbe mettere in Nord contro il Sud, perdere definitivamente i voti meridionali e svelare l’inganno del progetto Lega “nazionale” che ha attecchito nel Sud credulone.

Il progetto nazionale di Salvini, per compiersi, necessita dei voti meridionali, quindi di tempo; e in questo frangente fisiologico, il capitano (o capitone che dir si voglia) deve temporeggiare nel limbo di una tregua armata con i 5 stelle attingendo, allo stesso tempo, dal loro steso bacino elettorale meridionale i voti necessari. Tutto questo tenendo buoni al guinzaglio i suoi amici nordisti che devono avere pazienza.

Di fatto il modus operandi del progetto autonomista concepito dalla Stefani, non è scritto neanche nel famoso “contratto di governo”, per il semplice motivo che all’epoca non esisteva.

Chi può arginarlo nell’intento? Allo stato dei fatti, nessuno. Di Maio agonizza, il PD è in coma e non accenna a risvegliarsi attanagliato dai suoi perenni e deleteri conflitti interni. Gli altri “staterelli” minori della sinistra coltivano il proprio orticello, alzando la voce qua e là per aumentare il proprio consenso elettorale dello zero virgola.

L’unico che davvero potrebbe, se lo volesse, sarebbe il Presidente Conte. Lo stralcio, da lui decretato, dell’autonomia scolastica all’interno del progetto Lombardo-Veneto, è un primo segnale. La linea direttrice deve essere un’autonomia che ponga, almeno inizialmente, tutti sullo stesso piano definendo i livelli essenziali di prestazioni e spegnendo l’arroganza nordista. Di fatto il modus operandi del progetto autonomista concepito dalla Stefani, non è scritto neanche nel famoso “contratto di governo”, per il semplice motivo che all’epoca non esisteva. Nel 2018, infatti, il governo è caduto sulla Lega Nord come manna dal cielo!  Se si governa in due, però, si discute insieme, o non se ne fa nulla. Salvini è ben consapevole del fatto che la “nazionalizzazione” della Lega passi, volente o nolente, da questa cruna, e per attraversarla dovrà mettere il piede in due staffe incrementando al 50% la percentuale di fallimento. Evento nel quale tutti confidiamo.

d.A.P.

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