Pino Aprile inaugura le attività del M24A a Cosenza, Buccini e Fubini infangano il Sud con la peggior retorica qualunquista.

Chi siano Goffredo Buccini e Federico Fubini, per chi non lo sapesse ancora, lo capirete leggendo il loro editoriale sul Corriere della Sera. Uno sproloquio inutile, considerando anche lo spreco di tempo e carta, sui peggiori luoghi comuni che il settentrione abbia mai affibbiato al Sud. Non un dato, non un fatto, non una notizia degna di tal nome sull’incontro tenutosi ieri al cine teatro A. Tieri. Il che fa legittimamente dubitare sulla reale presenza dei due a Cosenza, perché non basta scopiazzare l’intervista a Pino Aprile per accreditarli lì. Chiunque potrebbe fare il giornalista in questo modo, anche Fubini che per 14 anni ha avuto un contratto dal Corriere della Sera senza essere iscritto all’ordine, salvo poi rimediare in extremis versando arretrati, more e interessi. Ma questi sono fatti suoi. Non vengano però Fubini e compagnia bella a farci la morale. Cosa si aspettavano dal M24A che facesse un panegirico sull’efficienza nordista? A leggere le righe rabberciate dell’editoriale si intuisce la pochezza delle argomentazioni in mano ai due, relativamente all’argomento equità territoriale. Cosa c’entra il neo-borbonismo? Cosa la nostalgia borbonica? E chi sarebbero gli esponenti della storiografia più seria? Galasso? O forse Barbero? Perché tirare in ballo Gennaro de Crescenzo, che secondo i due potrebbe essere stato a Cosenza ieri? Quel condizionale, ci rende certi del fatto che seppur de Crescenzo fosse stato lì, Fubini e Buccini non erano presenti di sicuro! E allora perché scrivere di un evento, quando non si è nemmeno presenziati?

Tutto l’editoriale di Fubini e Buccini è una congettura! La stessa con la quale il Sud ha avuto a che fare negli ultimi 160 anni: fannulloni, nullafacenti, mafiosi, spreconi. Tuttavia proprio questa congettura ha finito per mettere in ginocchio l’Italia e quindi anche l’efficiente nord.

Si chiama presunzione, etimologicamente, conoscere a priori o meglio fare congetture! Ecco tutto l’editoriale dei due è una congettura! La stessa con la quale il Sud ha avuto a che fare negli ultimi 160 anni: fannulloni, nullafacenti, mafiosi, spreconi. Tuttavia proprio questa congettura ha finito per mettere in ginocchio l’Italia e quindi anche l’efficiente nord. E sono gli stessi Fubini e Buccini a dimostrarlo seppur senza cognizione di causa. Infatti scrivono: “Come l’Italia è passata da un reddito medio disponibile per abitante del 5% sopra la media dell’Europa avanzata nel 1991 all’11% sotto nel 2018, così il Meridione è passato dal 74% del reddito pro-capite del Centro-Nord nel 1971 al 54% di oggi. Come il prodotto per ora lavorata dell’Italia è passato dal 2% della media dell’Europa più avanzata vent’anni fa al 9% sotto, oggi, così il prodotto per unità di lavoro al Sud è sceso di nove punti negli ultimi quarant’anni rispetto al Centro Nord. E, come uno su cento da Agrigento o Caserta tutti gli anni emigra ancora a Milano o Padova, così nell’ultimo decennio un italiano su cento è partito verso posti come Londra, Monaco o Barcellona.” Tutto vero! Ma vi siete chiesti il perché? Avete di grazia mai letto i CPT? O dato una sbirciata alla spesa in conto capitale riservata al Sud da 40 anni a questa parte? O letto i rapporti SVIMEZ? Avete mai sentito parlare di spesa storica? Avete mai preso conoscenza dei criteri di ripartizione dei finanziamenti per la scuola e l’università pubblica? Avete letto le ultime dichiarazioni di Marc Lemaitre direttore generale della politica regionale e urbana della Commissione Europea il quale afferma di non conoscere altri paesi che abbiano una situazione di investimenti pubblici talmente debole da neutralizzare tutti gli sforzi europei profusi attraverso il bilancio comunitario al fine di risollevare le sorti del Mezzogiorno? No? Allora tacete. Perché semmai ci fosse stata in questo paese equità territoriale, sicuramente quel 5% di reddito medio pro-capite italiano del 1991 sarebbe stato un 10% e quel -11% del 2018 sarebbe stato un -5%; semmai ci fosse stata in questo paese equità territoriale il 74% di reddito pro-capite del sud rispetto al nord nel 1971 sarebbe stato un 90% e quel 54% di oggi sarebbe stato un 74%; semmai ci fosse stata in questo paese equità territoriale quel 2% di media di prodotto per ora lavorata dell’Italia di 20 anni fa sarebbe stato un 4% e quel -9% di oggi sarebbe stato un -4%; semmai ci fosse stata in questo paese equità territoriale il prodotto per unità di lavoro al Sud sarebbe sceso di 4 punti rispetto al Nord e non di 9. E l’emigrazione sarebbe stata una possibilità, mai una necessità! Il tutto a vantaggio dell’intero sistema paese! Invece per i due, quei dati sono la dimostrazione che il Sud è incapace e sprecone.

E nonostante le vicende economiche e politiche dell’Italia degli ultimi anni hanno frantumato tutte le sciocchezze dette, il pregiudizio non si è dissolto. Si è sostenuto per anni che la crisi italiana era stata causata dallo spreco di risorse riservate al Sud e all’alta tassazione necessaria a garantire i cospicui trasferimenti.

[Prof. Isaia Sales – da Il Mattino del 14.10.2019 – pag. 39

Fubini e Buccini hanno molto da studiare per uscire dalla presunzione e dallo stereotipo del sud! E non lo dico certamente io, ultima ruota del carro, ma oggi dalle colonne de Il Mattino gli risponde in tal senso, anche se indirettamente, il prof. Isaia Sales il cui articolo vi invito a leggere con molta attenzione: “ In genere l’uso del pregiudizio antropologico su questioni complesse, come quella meridionale, esprime il bisogno di trovare una facile spiegazione (una scorciatoia e una rassicurazione) sul fatto che se non si è risolto un problema razionalmente risolvibile è solo per difetti soggettivi della popolazione interessata, e mai per responsabilità più ampie. Cioè, se le cose vanno male è perché chi sta male (chi è povero, chi è disoccupato, chi emigra) è egli stesso causa dei suoi problemi: si tratta di una straordinaria comodità per piegare la storia italiana ad un atto di accusa permanente contro il Sud e la sua popolazione.” Esattamente la linea che traspare leggendo il trattato a quattro mani sul Corriere della Sera. Il professore continua: “E nonostante le vicende economiche e politiche dell’Italia degli ultimi anni hanno frantumato tutte le sciocchezze dette, il pregiudizio non si è dissolto. Si è sostenuto per anni che la crisi italiana era stata causata dallo spreco di risorse riservate al Sud e all’alta tassazione necessaria a garantire i cospicui trasferimenti. Ebbene, nonostante siano state ridotte drasticamente le risorse trasferite all’economia meridionale, il Paese non si è ripreso e il declino della nostra economia ha caratterizzato l’ultimo trentennio proprio in concomitanza con la drastica riduzione di investimenti pubblici e privati nei territori meridionali. E se si riteneva che il problema principale dell’Italia erano le classi dirigenti meridionali alla guida della nazione (come la vulgata leghista ha sostenuto insistentemente) come mai la situazione non è cambiata dopo che per un ventennio alla guida dell’Italia ci sono state classi dirigenti espressione quasi esclusiva del Centro-Nord, nel centrodestra come nel centrosinistra?” Già, sarebbe troppo chiedervi di rispondere a queste domande? Troppo sforzo per il vostro pensiero surrogato! Nessun revanscismo di sorta risiede nel pensiero meridionalista, ma la storia recente ci dice che quando l’efficiente nord è stato alla guida del paese, ne ha beneficiato solo una parte di esso, giammai l’intero.  

I presupposti per farcela da soli ci sono tutti come da anni sostengono a suon di cifre e dati Marco Esposito e il Prof. Viesti! Perché resta solo questa extrema ratio se non ci si butterà alle spalle l’ottuso rancore settentrionale.

E ancora: “Per non parlare dell’idiozia che stabiliva un legame tra crisi dell’economia italiana e la centralizzazione dello Stato, per cui bastava trasferire competenze e risorse in periferia per avviare una ripresa economica. Ma la crisi dell’economia italiana si è manifestata proprio nel pieno della trasformazione federalista. Si era poi diffusa un’altra strampalata teoria in base alla quale la riduzione di risorse al Sud avrebbe provocato automaticamente una reazione positiva nei suoi ceti dirigenti e nella popolazione, per cui bastava affamare un territorio per contribuire alla sua rinascita!”  E, alla luce di questi fatti, il sud non sarebbe colonia? Rincara la dose il professore: “Anche la teoria in base alla quale la globalizzazione avrebbe accentuato la competizione tra regioni e non tra nazioni (e dunque bisognava rafforzare i sistemi produttivi territoriali, sacrificando le parti improduttive) si è sgonfiata di fronte all’evidenza che proprio oggi a reggere di più la competizione internazionale sono le economie-nazioni, come la Germania riunificata ha ampiamente dimostrato. Insomma il liberismo più ottuso e il leghismo più becero si sono affiancati nel delineare la presunzione di una nazione più ricca con un Sud abbandonato a sé stesso”. Nessun sovranismo a sud, quindi, ma un cambio di prospettiva, una rivoluzione copernicana, come la definisce il prof. Sales che modifichi sostanzialmente la politica economica italiana dalle fondamenta. Nessuna voglia separatista, ma all’occorrenza separiamoci se rivoluzione non sarà e visto che i settentrionali sono desiderosi di sapere se da soli possiamo farcela. E i presupposti per farcela da soli ci sono tutti come da anni sostengono a suon di cifre e dati Marco Esposito e il Prof. Viesti! Perché resta solo questa extrema ratio se non ci si butterà alle spalle l’ottuso rancore settentrionale. Eppure nessuno tra i meridionalisti vuole arrivarci. Il prof. Sales ne è un valido esempio: “Il Sud si trova nelle attuali condizioni perché è l’Italia intera che da tempo non sta bene; e l’Italia non starà meglio se il Sud permarrà in queste condizioni. Le interconnessioni sono così evidenti tra questi due dati che spesso mi chiedo quale malattia, quale limitatezza di sguardo ha preso il nostro Paese e le sue classi dirigenti per avere dimenticato un fatto così lapalissiano. Il Sud non è altra cosa dall’Italia, e quello che succede nei territori meridionali influenza la tenuta complessiva della nazione e incide sul suo benessere generale. Per dirla meglio: è inevitabile che all’interno della stessa compagine nazionale il malessere di una sua parte si ripercuota anche sul benessere dell’altra, rendendolo meno stabile e duraturo. Se una parte sta male, l’altra immancabilmente starà meno bene. Anche se nell’immediato non se ne accorgerà. Senza intaccare il dualismo l’Italia è destinata a un lento declino. Anzi, in verità, il declino è cominciato quando l’Italia si è pensata e si è rappresentata solo in una sua parte. Se il Pil rappresenta la ricchezza di una nazione, è ovvio che questa ricchezza non aumenta se non quando essa si propaga in tutte le sue parti. Se in un insieme una parte consistente non cresce, è l’insieme a subirne le conseguenze, anche se una singola sua parte è cresciuta. In tutti gli insiemi costituiti da parti connesse tra loro, non si dà crescita dell’una senza la crescita delle altre. […] Se oggi l’Italia è quarta potenza economica dell’Europa (compresa l’Inghilterra) chiediamoci che posto occuperebbe se, invece di essere contrassegnata da una economia dimezzata, potesse contare su di una crescita in tutte le sue parti. L’Italia è indietro rispetto ad altre nazioni perché sta rinunciando a un secondo motore della sua economia. Con due motori accesi l’Italia andrebbe molto più veloce e si metterebbe dietro diverse nazioni che ora la precedono nel calcolo della ricchezza”.

Pino Aprile e il M24A ieri a Cosenza hanno voluto affermare solo ed esclusivamente questo: chiediamo ed esigiamo equità territoriale per la pianificazione dell’economia dell’intero paese, perché solo all’interno di una sguardo alla totalità del sistema può partire una ripresa della quale beneficeranno tutti da nord a sud senza disparità di trattamento.

La soluzione al problema Italia, e badate bene non dico sud ma Italia, sta nel mettere in moto il secondo motore che partirà se e solo se avrà a disposizione carburante, sottoforma di equi investimenti in conto capitale, e aria sottoforma di abiura ai rancori ingiustificati e infondati che ci piovono addosso da una parte del paese. Pino Aprile e il M24A ieri a Cosenza hanno voluto affermare solo ed esclusivamente questo: chiediamo ed esigiamo equità territoriale per la pianificazione dell’economia dell’intero paese, perché solo all’interno di una sguardo alla totalità del sistema può partire una ripresa della quale beneficeranno tutti da nord a sud senza disparità di trattamento. E’ nell’interesse di tutti. Non esiste sovranismo meridionale in questa visione del paese Italia, bensì esclusivamente autentica unità nazionale all’interno del sistema Europa. Questa concezione di paese è però presente nelle coscienze di pochi illuminati discendenti di quel popolo che era una grande nazione e che ha come caratteristica l’apertura a 360 gradi di fronte alla realtà che la circonda, consapevole che il benessere di tutti è anche il proprio. Fubini e Buccini possono annoverarsi tra di loro? Due che criticano le bandiere dei Borbone al San Paolo come carattere distintivo del separatismo meridionale, quando a Firenze campeggia il giglio accanto al tricolore, a Torino la bandiera Savoiarda, in Sardegna quella dei quattro mori, il Lombardia la rosa camuna e così via, mi fanno sorridere per la loro ottusità mentale. L’Italia è stata messa insieme; non si è unita, ma è stata unificata e le bandiere che campeggiano sugli edifici delle varie istituzioni locali ne indicano la storia, l’identità, non le voglie separatiste…almeno non al Sud. Eppure per qualche tempo al San Paolo le bandiere del Regno venivano sequestrate perchè ritenute sovversive e in alcuni municipi campani ordinanze ne intimavano la rimozione. Buccini e Fubini rispondano: perchè si può far sventolare la bandiera dei Savoia e non quella dei Borbone accanto al tricolore? Personalmente credo che due che sul Corriere della Sera scrivono “i Borboni” e non “i Borbone” (come se io scrivessi Savoio in luogo di Savoia) e che ignorano il fatto che il dominio della mail di Carlo di Borbone sia sicilie.com (al plurale) perché erede al trono del Regno delle due Sicilie, rivelano la propria pochezza e superficialità intellettuale nel trattare un argomento fondamentale per le sorti del paese. Scripta manet.  

d. A.P.

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