L’Italia perde la sfida del caffè per l’ingordigia degli industriali del settentrione.

Quando si dice siamo tutti italiani…sì ma alcuni, a quanto pare, lo sono un po’ meno di altri. Anche per una tazza di caffè che con sé porta storia, cultura, ma soprattutto arte. Questo spirito “patriottico”, infatti, ha fatto in modo che saltasse la candidatura italiana sul caffè all’Unesco a causa della contemporanea proposta sull’espresso italiano, avanzata dalle torrefazioni industriali del nord, di fatto contro la tradizione napoletana. Due proposte per le quali la commissione del ministero degli Esteri ha “diplomaticamente” deciso di rinviare di un anno ogni iniziativa in modo da avanzare una sola candidatura.

Abile, quanto subdola mossa delle grandi, ricchissime e potenti, industrie nordiche del caffè per impedire che passasse la proposta (presentata nel Dicembre 2019) per il riconoscimento Unesco dell’Arte del Caffè Napoletano. Una vigliaccata che ha impedito a Napoli e alla sua tradizione di poter competere non per un motivo culturale o storico, ma per non intaccare gli interessi commerciali di un gruppo di sigle dentro le quali spesso troviamo società private impegnate nella torrefazione o nella costruzione di macchinari. Consorzio di Tutela Del Caffè Espresso Italiano Tradizionale, Comitato Italiano del Caffè di Unione Italiana Food, IEI – Istituto Espresso Italiano, di Fipe-Confcommercio, Gruppo Italiano Torrefattori Caffè, Associazione Caffè Trieste e Consorzio Torrefattori delle Tre Venezie, infatti, il primo maggio 2020, hanno lanciato a Patuanelli l’appello per iscrivere il “Rito del Caffè Espresso Italiano” a patrimonio immateriale dell’Umanità. E il ministro triestino, ovviamente, non se l’è fatto ripetere compromettendo, consapevolmente, la candidatura napoletana. A Patuanelli, però, è “casualmente” sfuggito il punto fondamentale della questione e cioè che l’Unesco non sostiene prodotti, ma patrimoni culturali. Non il caffè, dunque, bensì l’arte del caffè. Ragion per cui la proposta avanzata dai produttori di caffè italiani del Nord, ricchi di soldi, ma che dal punto di vista storico poco possono esibire se non i loro macchinari, difficilmente avrebbe trovato il favore dell’Unesco.

La proposta napoletana, invece,  presentata dalla regione e sostenuta da un lavoro scientifico di più università coordinato dal professore Marino Niola, dimostra come  il caffè, alla stessa stregua della pizza, sia parte integrante della comunità napoletana. Boicottati, insomma, prima con una campagna denigratoria, poi con la tesi che il caffè napoletano è solo una declinazione regionale della tradizione italiana, ossia l’esatto contrario della realtà. Il prof. Niola definisce “cieca oltre che poco trasparente” la decisione della commissione del ministero degli esteri, quantunque sia a dir poco cristallina la manovra con la quale l’industria della torrefazione del Nord, con la complicità di ministri e ministeri (tra i quali quello di Cingolani ex componente del Consiglio di amministrazione della Illy Caffè) abbia di fatto impedito a Napoli di ottenere un altro riconoscimento storicamente accertato. Nulla ha invece impedito a Patuanelli di presentare altre due candidature: il Tocati, manifestazione di giochi tradizionali che si svolge ogni anno a Verona, e l’allevamento del cavallo Lipizzano (da Lipizza vicino Trieste). Morale della storia: noi progettiamo e loro boicottano per dirci poi che non sappiamo progettare. Pensateci quando berrete un caffè al bar o lo comprerete al supermercato o quando al Sud arriverà il 34% del Recovery Fund a causa della nostra incapacità di progettazione.

d.A.P.

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