La Carfagna scrive a Il Mattino sugli indici di mortalità infantile a Sud dicendosi ottimista per la definizione dei Lep a partire dal 2022. Ma i Lep non sono i Lea e, intanto, i nostri figli possono morire.

“Caro Direttore, l’indagine della Società di Pediatria alla quale il Mattino ha dato ieri grande rilievo aggiunge all’«elenco della vergogna» delle diseguaglianze Nord/Sud una sezione che fa rabbrividire”.

Questo l’esordio della lettera della Carfagna pubblicata su Il Mattino di sabato 3 luglio. E se la ministra rabbrividisce per l’indagine della Società di Pediatria, al lettore i brividi vengono nel leggere i contenuti della missiva. Totalmente inconcludenti da un punto di vista propositivo, insignificanti da un punto di vista fattivo, insulsi da un punto di vista politico, vergognosi da un punto di vista istituzionale.

In realtà fa specie pensare che alla signora ministro i brividi vengano solo adesso dopo quasi 20 anni di permanenza in parlamento, periodo nel quale nulla ha fatto per arginare l’affossamento del Sud attraverso il pregiudizio antimeridionale.

Tuttavia per il lettore attento è quantomeno agghiacciante leggere la ministra tirare in ballo lo schema di riparto dei fondi del Fondo Sanitario Nazionale introdotto nel 2011 (d.lgs. n. 68/2011). È qui che si comprende tutta la (in)competenza in materia della Carfagna, nonché la motivazione per la quale si trova a ricoprire il ruolo che ricopre.

Scrive, la ministra, che “dal 2011, esiste una norma molto precisa che obbliga a suddividere il fondo sanitario tra le Regioni tenendo conto di parametri come la deprivazione sociale o la minore attesa di vita. È una legge che doveva aiutare a colmare le diseguaglianze, tenendone conto nella distribuzione delle risorse. In pratica, però, l’attivazione di questo tipo di riparto è subordinata all’intesa tra le Regioni. E siccome in questi dieci anni l’accordo non si è mai trovato, i soldi sono stati suddivisi ancora alla vecchia maniera, sulla base del principio della spesa storica: chi ha molto ottiene molto, chi ha poco ottiene poco”.

Errore più che grossolano, dato che è proprio lo schema di riparto del 2011, con le sue formule, ad aver aggravato le disparità tra nord e Sud. A dirlo è niente poco di meno che l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani di tal Carlo Cottarelli. Sul sito del CPI, infatti si apprende che il parametro della deprivazione sociale non è mai stato inserito tra i criteri di riparto del FSN (perché incongruente) mentre lo schema del 2011 per la determinazione della spesa pro-capite considera solo la composizione anagrafica della popolazione. Quindi l’attuale sistema per la determinazione del totale del FSN e della sua stessa ripartizione formalmente si baserebbe sui cosiddetti costi standard, i quali però vanno a farsi benedire nel momento stesso in cui si applicano le formule per il loro calcolo deturpate dalle variabili dummies. Variabili che, dal 2011, continuano a premiare l’anzianità media della popolazione, più elevata al nord, anziché la maggiore quota di giovani che risiedono e nascono al Sud e che incidono per malattie congenite, disabilità, necessità sanitarie.

Ecco, signora ministra, dove è situata la disparità di trattamento. Nella stessa legge che lei, certamente a sua (in)colpevole insaputa, reputa come risolutrice delle diseguaglianze nella distribuzione delle risorse. È scritto, cioè, nelle righe del decreto legislativo n. 68/2011 e nelle formule ad esso applicate che “chi ha molto ottiene molto e chi ha poco ottiene poco” (parole sue, ministra).

E alla luce di quanto esposto finora, c’è da essere seriamente preoccupati per il suo ottimismo sul 2022 derivante dal colloquio avuto con il ministro Daniele Franco. In primis perché, per sua stessa ammissione, il colloquio ha avuto come oggetto la definizione dei LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) e non dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) ai quali il FSN fa riferimento e ferma restando l’importanza dei LEP.

In secondo luogo la preoccupazione monta ancora maggiore quando scrive che “la battaglia che il Paese deve intraprendere, ora che ne ha le risorse, non è solo in nome dell’equità sui territori ma anche della libertà e dell’emancipazione dei singoli, contro l’umiliazione quotidiana che avvilisce le vite di troppi meridionali”.

Affermazioni, queste ultime, di un qualunquismo estremo visto che la sua battaglia per il Mezzogiorno, persa in partenza, ci ha concesso un misero 40% (a fronte del 70% spettante) del Pnrr che neanche il migliore dei maghi riuscirebbe ad impegnare in modo concreto per far fronte alle esigenze di equità (diritto che per lei è una semplice parola da sventolare all’occorrenza) e tantomeno a quelle di emancipazione del Mezzogiorno. Il suo non successo, quel 40% che al netto dell’interdipendenza economica Nord-Sud diventa 20%, così come il flop dei 2800 posti nella pubblica amministrazione, condiviso con il degno (per (in)competenze) collega Brunetta, saranno l’origine dell’ulteriore allargamento del divario nord-Sud, nonché della esponenziale crescita dell’umiliazione quotidiana dei meridionali.

Concludendo, signora ministro, è vero che il Sud non è pigro, ma neanche è sfiduciato come lei crede; è vero che non è lento, ma neanche avvilito e disilluso come lei dice. Il Sud è incazzato nero e pronto alla rivolta sociale qualora si dovesse di nuovo vedere umiliato nei suoi diritti (e, mi creda, la strada che sta percorrendo è quella giusta) da una ministra come lei.

d.A.P.

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