In un articolo su “Il Mattino” del 7 agosto 2015 (attualissimo!), Marco Esposito elenca aspetti e “dispetti” di questa Italia a due facce: “Non è un problema di forma” dice Esposito, “ma di sostanza. Il Sud è diventato una grande area con fiscalità di svantaggio, dove a maggiore pressione fiscale corrisponde una precaria erogazione di servizi: nel 2015 una nuova impresa, una startup, è esente dall’Irap in Lombardia mentre paga il 4,82% in molte regioni del Sud (con un picco del 4,97% in Campania).” Al fisco più pesante, a fronte di servizi meno che mediocri, si aggiungono i maggiori tagli alle scuole e alle università, fenomeno che determina il sempre maggiore spostamento degli studenti meridionali verso gli atenei del nord con conseguenze serie sulla già preoccupante situazione demografica del Sud. Scrive Esposito sui tagli: “Una quota crescente del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) è distribuito in base a indici valutativi, i quali dovrebbero misurare le qualità della didattica e della ricerca. Tuttavia, anche per difficoltà a trovare parametri oggettivi, nei fatti tali misurazioni non fanno che certificare il dualismo territoriale riproducendolo e amplificandolo, come un taglio del Fondo FFO che dal 2008 supera il 10 per cento al Sud mentre è sotto il 5 per cento al Centronord”. Il 23 per cento degli studenti meridionali si immatricola in università del Centro-Nord e nel solo anno accademico 2014-15 la Puglia e la Sicilia hanno perso oltre cinquemila studenti “guadagnati” dal Lazio, Emilia Romagna e Lombardia. Viesti afferma che: “L’asimmetria crea effetti rilevanti. Indebolisce il processo di accumulazione di capitale umano nelle regioni del Mezzogiorno. Determina un trasferimento di reddito a favore del Centro-Nord – per i soli costi del periodo di studi – che può essere stimato tra un miliardo e un miliardo e mezzo di euro all’anno. Le ragioni alla base dei flussi di mobilità studentesca sono molteplici. Certamente l’ampiezza e la qualità dell’offerta formativa al Centro-Nord (comparata a quella al Sud) giocano un ruolo importante. Ma si tratta esclusivamente di una scelta, da parte di studenti perfettamente mobili, basata su questo?” La risposta è no! Il rapporto della Fondazione RES documenta altri importanti fattori che determinano la scelta: “In primo luogo, le condizioni del mercato del lavoro profondamente diverse, con conseguenti maggiori opportunità di inserimento lavorativo e più elevati livelli salariali per i neo-laureati nelle regioni settentrionali, influenzano marcatamente la direzione della migrazione delle matricole”. Studiare per lavorare è diventata priorità per le matricole del Sud che scelgono corsi di laurea con maggiori sbocchi professionali in città e regioni dove la crisi si avverte molto meno che a Sud. Ecco spiegato il motivo per il quale, per esempio, “gli immatricolati meridionali si sono diretti sempre più verso Piemonte e Lombardia e relativamente meno verso Lazio e Toscana. Giocano fattori, esterni alle università, ma relativi al contesto in cui sono insediate”. Non in secondo piano passano le differenze tra i collegamenti. Il recente rapporto Pendolaria di Legambiente documenta, ad esempio, che per percorrere in treno i 250 chilometri fra Ragusa e Palermo sono necessarie 6 ore e 11 minuti di treno. Ragusa e Trapani sono le città con il maggiore numero di immatricolazioni al Centro-Nord. Nel 2014 tra legge di stabilità e “Sblocca Italia” sono stati stanziati per le ferrovie italiane 4.859 milioni di cui 4.799 al Nord e 60 al Sud! Del Rio disse che al Sud “Prima di spendere 5 miliardi per l’alta capacità Napoli-Bari occorre verificare con attenzione tutta la progettazione, vista la particolarità di alcuni tratti rocciosi del percorso. E lo stesso vale per la Salerno-Reggio Calabria. (Sulla Sicilia non si espresse neanche! – ndr) Sono opere prioritarie, le faremo come abbiamo indicato nel decreto Sblocca Italia: ma non vogliamo partire con il piede sbagliato”. Intanto però i 4.799 milioni al Nord sono serviti per il tunnel del Brennero sotto le Alpi, in Val di Susa e per il Terzo valico ferroviario nell’Appennino ligure (dove ce ne sono già due!). Forse che le rocce del nord sono più friabili di quelle del Sud? Oppure, molto più verosimilmente, la pochezza dei nostri politici meridionali è ancor più scarsa dell’immaginabile! “Le differenze nelle condizioni di contesto, esterne al mondo universitario,” scrive Viesti, “contribuiscono dunque a spiegare la mobilità degli studenti. Ma gli effetti sulle università sono molto rilevanti (sul gettito contributivo degli immatricolati; e sul fondo di finanziamento ordinario, legato in misura crescente al “costo standard”) […] alle politiche pubbliche dovrebbe spettare il ruolo di rendere meno disomogenee le condizioni esterne agli atenei che influenzano la loro capacità di attrazione. In particolare, servirebbero politiche volte ad accrescere e diffondere nell’intero paese il diritto allo studio (borse di studio, alloggi universitari e servizi), a migliorare la qualità della vita per gli studenti nelle città universitarie, a intensificare e potenziare le reti di trasporto locali. Oltre, naturalmente, a più generali politiche di sviluppo regionale, per rendere meno dissimili i tassi di occupazione dei laureati.” Il risultato è il seguente: “Nel 2002-15 sono emigrati 520mila giovani (15-34 anni), di cui 200mila laureati. Ciò comporta complessi problemi quantitativi (dimensione della domanda interna, gettito fiscale e sostenibilità dei servizi pubblici, domanda abitativa e valori immobiliari, solo per citarne alcuni) e qualitativi, dato che il capitale umano giovane e a maggior qualifica è componente essenziale per la crescita del settore esportatore”(prof. Viesti).

E non va meglio negli asili nido. Scrive Marco Esposito in merito ai metodi di attribuzione dei fabbisogni standard comunali per asili nido e istruzione: “Soltanto per queste due voci, infatti, invece di calcolare il fabbisogno comune per comune della popolazione, si è considerato il livello di servizi erogato nel 2010 con il paradosso che laddove il livello è nullo o insufficiente, si è considerato quel livello minimo pari a zero come il reale fabbisogno. In altre parole, se una città come Catanzaro non aveva asili nido nel 2010, si è sostenuto che non ne ha bisogno neppure oggi, riducendo il fabbisogno complessivo di quel comune. A Napoli per asili nido e istruzione è stato assegnato un fabbisogno di 72 euro per abitante, contro i 187 di Roma e i 237 di Milano. In pratica è come dire che i bambini di Napoli valgono un terzo degli altri”.

E potrei continuare: meno fondi per le cure al Sud rispetto alla media nazionale (dal 1992 gli investimenti in infrastrutture nel Mezzogiorno hanno continuato a scendere compresi soprattutto quelli per interventi di tipo sociale come la costruzione di scuole ed ospedali); il federalismo fiscale scriteriato (privo di una indispensabile componente perequativa); i minori investimenti delle aziende pubbliche al Sud, (la metà rispetto all’obiettivo di legge fissato al 45%); persino minore qualità del servizio di erogazione dell’energia elettrica al Sud nelle cui città l’energia elettrica va via in media sei volte più spesso che al nord.

Come mai nella classe politica meridionale non si coglie il benché minimo fastidio, indignazione, ribrezzo nei confronti di chi attua una simile politica duale? E’ o non è la politica messa in atto nei confronti del Sud da 156 anni a questa parte, simile, se non del tutto uguale, alla politica di uno stato coloniale che della sua colonia ne sfrutta le potenzialità umane, sociali e territoriali per accrescere il suo proprio potere economico e sociale su essa stessa e per poter competere con le altre nazioni? L’asservimento dei nostri politici nei confronti dell’Italiella è il segno tangibile che, per dirla con Salvemini, “L’ascaro meridionale non chiede che di vivere e lasciar vivere […] Qualunque gruppo di uomini onesti, di qualunque partito, voglia mettere un po’ di freno alle iniquità di una sola fra le clientele che fan capo a un deputato meridionale, è sicuro di trovarsi contro tutta la marmaglia compatta”. A Napoli c’è un detto popolare che dice “O pesc’ fet r’a cap!”.

d.A.P.  

(Leggi la prima parte)

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