Potrebbe essere materia per un esame universitario. Mi raccomando però: che si studi solo negli atenei del nord, perché la terra da neo-colonizzare è il Sud!

La sintesi del programma? È presto detto: lasciagli solo la terra, avvelenala, falli morire e dai a loro la colpa di tutto.

Esagero? Spero allora di farvi cambiare idea. 30 mila giovani in Italia tra il 2016 e il 2017 hanno presentato domanda per l’insediamento in agricoltura. Di questi il 61% al Sud e nelle isole; il 19% al centro, il resto al nord (dati “Ritorno alla Terra” – Coldiretti). E per la maggior parte si tratta di persone laureate che non trovano sbocchi occupazionali e che, non volendo lasciare la propria terra o non avendone i mezzi, giocano la loro ultima carta: l’agricoltura. Intendiamoci, niente di male nel coltivare la terra, ma una tale scelta è sintomatica delle politiche sociali e del lavoro che il governo nord-italiano, ci riserva: essere il “granaio” del Nord. E attenzione perché il ritorno economico non è nostro, ma loro. Noi dobbiamo solo produrre e vendere la materia prima alle aziende nordiste, che poi la trasformano in prodotto finito e ce la rivendono, trasformandoci così anche nel loro bancomat preferito! Fateci caso al supermercato quando andate a fare la spesa: avete mai trovato prodotti meridionali che non siano “artigianali” (quando si trovano) o di nicchia? Questo è quello che ci lasciano: le briciole. E dobbiamo anche ringraziarli. Se poi considerate che il prezzo medio per ettaro del terreno arabile si aggira intorno ai 40 mila euro, si capisce come iniziare a coltivare, per chi un terreno neanche ce l’ha, sia propedeutico all’ottenimento dei contributi.

Tuttavia se, da un lato, l’agricoltura può diventare fonte di reddito, dall’altro può essere fonte di avvelenamento. Al di là delle fetenzie che negli anni ci hanno spedito dal nord e che hanno reso incoltivabili i nostri terreni, restano aperte questioni che io chiamo “avvelenamenti di stato”. Pensiamo a Bagnoli, all’Ilva e, caso sul quale voglio soffermarmi, all’Eni.

A maggio dello scorso anno Eni ammise di aver causato lo sversamento di oltre 400 tonnellate di petrolio nei terreni all’interno e all’esterno del centro olii della Basilicata. Il tutto tra l’agosto ed il novembre 2016. Ne seguì la chiusura cautelativa dell’impianto da parte della regione Basilicata e ispezioni straordinarie per verificare le azioni poste in essere da Eni per fronteggiare l’emergenza. La contaminazione interessò e interessa ancora 6 mila metri quadri di terreno, ma dei risultati delle ispezioni non se n’è più saputo nulla. Eppure Eni opera in Val d’Agri con una concessione su circa il 60% dei giacimenti con una produzione petrolifera pari al 30% in Italia: un minimo di comunicazione sarebbe dovuto! Tuttavia l’azienda preferisce investire i suoi soldi in pubblicità anziché in doppifondi per i serbatoi. Doppifondi che invece Shell, titolare del restante 30% delle concessioni, adotta e che costituiscono una protezione al territorio per incidenti simili. Una domanda: chi si farà carico delle spese per la bonifica, Eni? Neanche per sogno! Spettano alla regione Basilicata (tra le più povere in Italia) gli oneri, a fronte delle royalties percepite da Eni: circa il 4% ovvero le più basse al mondo. Eni stessa in Nigeria paga l’80%.

Ne consegue che da terreni contaminati, si producano alimenti contaminati che a loro volta avvelenano le persone. Il risultato è che al Sud, tra le persone dai 30 ai 69 anni, si muoia di tumore per il 28% in più rispetto al resto d’Italia (Rapporto Osservasalute). Un caso? Alla luce dei fatti, non solo quelli riportati qui, non credo proprio. E le malattie hanno un costo per la sanità nazionale e per i governi che si susseguono alla guida di questo infame paese. E chi paga questi costi? Ovviamente coloro che usufruiscono maggiormente del servizio sanitario nazionale: i meridionali! Ed ecco spiegato il motivo per il quale la sanità al sud costa tanto ed è perennemente in deficit. E non c’è prevenzione che tenga se le prime cause di malattie sono l’aria che respiriamo e il cibo che mangiamo. E dobbiamo anche sopportare il pistolotto lombardo che si fregia dell’efficienza del suo modello sanitario!

E sopportiamo anche i dati Istat raccolti in “Noi Italia” che colloca il Mezzogiorno all’ultima posizione nella graduatoria dell’Ue sul fronte dell’occupazione e della povertà. Aspetti che vanno a braccetto, perché se non si lavora, inevitabilmente si è poveri! E finché in Italia l’andazzo sarà questo, sarà anche difficile scorgere un barlume di cambiamento poiché nessuno lo vuole veramente, preferendo che l’Italia occupi una posizione ricattabile all’interno dello scacchiere internazionale, al fine di promuovere gli interessi delle lobbies che operano sul suo territorio.

Non è difficile capire che la ripresa italiana passi da Sud; difficile è trovare governanti e governi che, avendolo compreso, abbiano il coraggio di inimicarsi chi li vuole ostaggio del loro stesso potere!

d.A.P.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

dodici + 13 =