Tra agosto e novembre 2016, Eni ha sversato 400 tonnellate di petrolio dal centro di Viggiano in Val d’Agri interessando un’area di 6000 metri quadrati di territorio incuso il bacino idrico del Pertusillo che fornisce acqua anche alla vicina Puglia (in tutto oltre 4 milioni di cittadini). Non lo sostengo io, ma l’ha ammesso Eni stessa in una conferenza stampa del Maggio 2017 dopo averlo a lungo negato perfino nell’audizione della decima Commissione industria del Senato. Questi sono i fatti e non sono in discussione.

Ma per comprendere appieno la vicenda Val d’Agri è necessario fare alcuni passi indietro e porsi alcune domande: quali sono stati i benefici per il territorio e per la popolazione lucana? Quali gli impatti ed i costi a livello ambientale e sanitario? Quali gli impatti sull’economia agricola, turistica e culturale? E come mai, se il petrolio genera ricchezza, la Basilicata è la regione più povera d’Italia?

La Val d’Agri ha una serie di produzioni tipiche locali alcune delle quali possono anche fregiarsi delle denominazioni I.G.P. e D.O.C.: i fagioli di Sarconi IGP, i peperoni di Senise IGP, il pregiato pecorino canestrato di Moliterno caratterizzato da uno speciale metodo di stagionatura e salatura; il caciocavallo podolico di Viggiano ottenuto dal latte di vacche podoliche lasciate libere al pascolo; l’olio di Missanello ottenuto da olive maiatiche e caratterizzato da un tasso di acidità molto basso; il prosciutto di Marsico Vetere, le soppressate, le salsicce della pezzente, per non parlare dei vini. Già in epoca romana Plinio scriveva del vino “Lagarinum” prodotto dai vigneti di Grumento Nova e dal settembre 2003 il vino “Terre dell’Alta Val d’Agri” è un vino DOC. viene prodotto nei terreni di tre soli comuni quali Viggiano, Grumento e Moliterno con uvaggio 40% Cabernet, 40% Merlot e per il 20% da vitigni lucani autorizzati. Anche il “Grottino di Roccanova” IGT pare destinato a diventare DOC. Un altro prodotto tipico è il rafano, ovvero una radice dal gusto intenso è piccante da grattugiare e aggiungere alla pasta o alla frittata (rafanata).

Ecco: tutto questo e molto altro è la Val d’Agri ed è in serio pericolo. Ma perché? Il petrolio è così cattivo? No se si estraesse come si dovrebbe, seguendo normative, precauzioni e protocolli e se, soprattutto, la ricchezza generata rimanesse e fosse messa, almeno in parte a servizio del territorio e del popolo. Ma la Basilicata, come l’intero Sud, è una colonia del governo Nord Italiano ed i suoi governanti sono servi del potere e non del popolo. Pertanto tutto passa in secondo piano di fronte al profitto facile. Poi a danno fatto si tenta di compensare elargendo le briciole come i 39 milioni che Eni ha sborsato qualche giorno fa come penale, notevolmente ridotta dai vari patteggiamenti, per il protocollo d’intesa del 1998, anno in cui cominciarono le trivellazioni, puntualmente disatteso da 20 anni a questa parte.

Cosa prevedeva il protocollo? L’Istituzione, tra le altre cose, dell’Osservatorio Ambientale “Val d’Agri” come compensazione ambientale in relazione al progetto di sviluppo petrolifero, nonché il monitoraggio delle attività estrattive. Ebbene se andate sul sito dell’osservatorio, la sezione sulla produzione e le royalties è perennemente in aggiornamento, mentre quella sul monitoraggio delle acque superficiali non offre dati. Di fatto nessuno, se non Eni, conosce la reale situazione della Val d’Agri. Ed è una situazione pessima: nel 2009 partiva il VIS – Valutazione di Impatto Sanitario, promossa dai comuni di Viggiano e Grumento Nova e non dalla Regione che anzi ne ha sottoposto le valutazioni finali al giudizio del ISS per una verifica sulla veridicità. Le conclusioni sono sconvolgenti: a Viggiano e a Grumento si muore di più e ci si ammala di più, per determinate patologie, sia rispetto al resto della Val d’Agri, sia rispetto al resto della Regione. I risultati mostrano degli eccessi di rischio che sono connessi con gli inquinanti del COVA (Cento Oli Val d’Agri).

“Ma lo sversamento di cui abbiamo parlato è solo l’ultimo di una serie di episodi. Talmente tanti e preoccupanti da aver inciso sulla percezione del rischio (non un caso che la Basilicata sia l’unica regione in cui il referendum contro le trivelle del 2016 ha raggiunto il quorum). Autocisterne uscite fuori strada. Fiammate nel COVA di Viggiano. I primi problemi nel bacino del Pertusillo e al pozzo di Costa Molina. I problemi alla salute degli abitanti delle zone adiacenti all’impianto di Tecnoparco a Pisticci (MT) in cui vengono trattate le acque reflue del petrolio. Gli arresti in seguito alle indagini dei Carabinieri del Noe. La fuoriuscita di petrolio dall’oleodotto nel Metapontino. E poi l’ultimo episodio dello sversamento, denunciato dalla conferenza stampa di Maurizio Bolognetti e reso visibile con il volo del drone di Michele Tropiano che ci ha portato a conoscenza dei colori oscuri presenti nell’acqua del Pertusillo. Alcuni di questi tratti sono stati ben raccolti nel video “Mal d’Agri” di Mimmo Nardozza”.

Sono parole di Pasquale Stigliani, portavoce dell’Associazione Antinucleare ScanZiamo le Scorie.

Il procedimento di valutazione VIS è durato sette anni ed è stato presentato con le sue conclusioni nel settembre 2017 mentre già dall’agosto 2016 il management del Distretto Meridionale di Eni si affrettava ad acquistare i terreni circostanti il COVA nella speranza di nascondere gli sversamenti avvenuti e minimizzare gli effetti delle denunce subite. Inoltre l’ambiguità della posizione di Eni, emerge anche da uno studio condotto dall’Università di Padova dal titolo “Petrolio e biodiversità in Val d’Agri – Linee guida per la valutazione di impatto ambientale di attività petrolifere onshore” pubblicata nel maggio 2016, qualche mese prima dello sversamento.

Continua Stigliani citando lo studio dell’Università di Padova: “Dalle conclusioni emerge che non è stato possibile utilizzare le linee guida per esaminare il caso di studio della Val d’Agri al fine di avere un’analisi completa degli impatti previsti e presenti per le attività produttive realizzate nella concessione. -Tale risultato non è attribuibile ad errori compiuti nella definizione delle linee guida, bensì alla non disponibilità degli Studi di Impatto Ambientale relativi a buona parte degli impianti di estrazione presenti e all’impossibilità di recarsi all’interno delle aree pozzo per più dettagliate osservazioni sul campo. È mancata quindi la possibilità di verificare se le misure preventive e mitigative previste dagli Studi di Impatto Ambientale siano state concretamente realizzate a livello delle aree pozzo […] in qualche modo è venuta così a mancare la possibilità di verificare la continuità tra la fase progettuale e quella operativa, tra valutazione ex ante e monitoraggio ambientale in itinere per individuare elementi utili a migliorare sia la performance della VIA sia a migliorare le performance ambientali delle operazioni.- L’esame, pertanto è stato limitato e non esaustivo. Effettuato sulla base di fotografie e osservazioni dall’esterno delle recinzioni che delimitano le aree pozzo. Viene segnalato inoltre “la sostanziale mancanza di trasparenza da parte di molte pubbliche amministrazioni contattate in merito e il generale disinteresse manifestato da Eni nei confronti della richiesta di informazioni”.

La mancanza di trasparenza è il segno della sostanziale collusione tra la politica regionale e le lobbies nel perseguire il proprio interesse economico trascurando il diritto primario alla salute e al benessere dei cittadini.

Lo spiega bene in un articolo su Basilicata24.it Michele Finizio: “Il potere [In Basilicata – ndr] è in pochi fondamentali e “strategici” settori: l’energia, il petrolio, l’acqua, i rifiuti. E’ chiaro che in questi settori i player principali sono Eni, Enea, Sogin, Total, Shell, Edf, Fiat, Terna, insieme alle loro articolazioni societarie.  Tutti, in un modo o nell’altro collegati da interessi reciproci. Intorno a questa “aristocrazia” di interessi orbitano attori secondari locali, funzionali agli scopi economici e finanziari dell’Olimpo nazionale e multinazionale. Si tratta di poteri subordinati che hanno un ruolo fondamentale sul territorio. La Società Energetica Lucana, L’acquedotto Lucano, in primo luogo. Intorno a questi poteri subordinati si espande un arcipelago di enti e istituzioni da tenere necessariamente al “guinzaglio”. E sono in prima battuta l’Arpab, Tecnoparco, i dipartimenti regionali della Sanità, dell’Ambiente, delle Attività produttive e delle Infrastrutture, persino l’Università. In sostanza la Politica regionale. Questi ultimi organismi, articolati nelle connessioni vitali con i poteri subordinati e con i Poteri superiori, funzionano da service governato dalla politica locale e dalle sue ramificazioni territoriali di base. I livelli politici e quelli “imprenditoriali” si intrecciano in un coacervo di affari “secondari”, ma ugualmente succulenti. Intorno all’Aristocrazia degli interessi, nazionale e multinazionale, mediati dal potere locale, si radunano imprese piccole e medie, società, speculatori, che aspirano a sedersi in una delle stanze della locanda degli affari. Società dell’eolico, quelle della gestione delle discariche e degli impianti dei rifiuti, quelle del conto terzi, società di servizi, centri di ricerca e laboratori di analisi, quelle che lavorano nella sicurezza. Intorno ad alcune di queste aziende o società si insinuano gruppi criminali che a loro volta approfittano delle condizioni di fragilità del territorio per avviare start up di malaffare. In questo scenario si anima l’azione del partitismo amorale e si nutre l’esercito dei mediocri”.

Ma cosa intende Finizio per partitismo amorale? “E’ un abuso politico che attribuisce ai partiti o, meglio, alle consorterie interne ai partiti, il diritto a prevaricare le istituzioni e la società.  Ed è su questa forma di abuso che si costruiscono i cosiddetti sistemi di potere locali.  Sistemi a loro volta amorali e ramificati in mille reticoli collaterali ai partiti”.

Questa si chiama politica coloniale ovvero lo sfruttamento delle risorse del territorio e della popolazione locale a vantaggio della ricchezza del colonizzatore. Tuttavia il colonizzatore nulla potrebbe se le amministrazioni locali non fossero conniventi, poiché una siffatta politica coloniale è attuabile soltanto attraverso la corruzione delle classi politiche locali cioè il motivo per il quale la Basilicata è la regione più povera d’Italia. Nel 2012 il Rapporto Svimez sullo stato dell’economia della Basilicata, nonostante la produzione petrolifera fosse a regime dal 2005, valuta l’area interessata dalle concessioni come area urbana in difficoltà, dimostrando di fatto come il petrolio non abbia determinato un processo di crescita e di sviluppo per quelle zone disattendendo le enormi aspettative paventate dalle istituzioni e dalla compagnia. Cosa lascia il petrolio ai lucani? L’indotto legato alle attività della gestione dei rifiuti che esso produce, i quali, a differenza dei capitali generati, devono rimanere ed essere stoccati in loco. È la solita vecchia storia che si ripete dal 1861 a questa parte.

Una domanda: siamo in attesa della chiusura dell’indagine della magistratura e la fine dei lavori di messa in sicurezza e della successiva bonifica; di fatto il COVA è in stato di fermo che è costato all’Eni, finora, 250 milioni di euro ai quali si aggiungono i 6,5 milioni spesi per le attività di verifica e controllo nei 60 giorni successivi allo sversamento, senza considerare quelli da spendere in seguito per la completa messa in sicurezza e la realizzazione della bonifica…la domanda: ma Eni non avrebbe di fatto notevolmente risparmiato realizzando i sottofondi agli oleodotti che, per esempio, Shell usa per i suoi impianti proprio in Basilicata per tutelare ambiente, territorio e popolazione in caso di sversamenti?

Concludo con le parole del dott. Giambattista Mele nel suo intervento all’assemblea ordinaria dei soci Eni lo scorso 10 maggio: “Nel SIA (Studio di Impatto Ambientale) che nel marzo del 1995 l’allora AGIP presentò al Ministero per la relativa autorizzazione del primo Centro Olio, c’era scritto che  -… la popolazione di quell’area è mansueta …- ; sicuramente è così se con questo termine si intende la civiltà dei suoi abitanti, ma da noi vige ancora un altro detto che dice:  –chi semina vento raccoglie tempesta!-

 d.A.P.

*  “Brigante se More” di Eugenio Bennato

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

nove − 1 =